La Settimana Santa è il momento ideale per scoprire un particolare esempio di tecnologia solidale: i missionari digitali.
I missionari digitali possono essere considerati una alternativa rispetto ai “dimissionari digitali”, cioè a chi guarda senza speranza alla “ferocia antropologica” che si sviluppa online,
evocando come unico rimedio l’intervento della legge o quello degli psicologi, con tutto il rispetto per l’una e per gli altri?
La risposta a questa domanda è sì, ma dentro la prospettiva dell’incontro. Lo ha detto lo scorso autunno monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, in una riunione con un folto gruppo di missionari digitali italiani, alla quale ho potuto partecipare anch’io: “Sul Web la Chiesa è sfidante e senza paura… i punti cruciali che stanno guidando questo processo sono i principi ecclesiali di papa Francesco: essere Chiesa in uscita, andare verso le periferie esistenziali, spendersi con coraggio e creatività.”.
Il metodo dell’incontro è stato indicato già al primo raduno dei missionari digitali di tutto il mondo, alla Giornata mondiale della gioventù 2023 a Lisbona, ed è stato ribadito dal Sinodo dello scorso ottobre, nel quale l’online è stato definito «la nuova frontiera missionaria digitale», come è scritto al paragrafo 17 della Relazione finale. Incontro è anche la parola chiave che unisce le meditazioni per la Via Crucis che si è tenuta venerdì scorso online. Nella introduzione, monsignor Ruiz afferma che “il cammino che percorreremo ci invita a portare nel cuore tutte le nostre comunità digitali, coloro che cercano di seguire Cristo…e anche tutti coloro, tutti, tutti, che, anche senza saperlo, lo stanno cercando, perché sono assetati di una Parola che dia vita e senso alla loro esistenza, così spesso ferita dal dolore.”.
Per capire come si declina questa impostazione è utile leggere alcune delle riflessioni che un gruppo di missionari digitali italiani – suore, preti e laici, donne e uomini di varia provenienza – ha scritto per le stazioni della Via Crucis digitale. “Quanti falsi amici – scrive Lilli Genco – incontriamo nella nostra vita in rete, quante volte le timeline diventano campi di battaglia, quanta ambiguità, manipolazione, quanti interessi spacciati per idealità sociale, quanti falsi baci che sprangano il cuore da parte di chi non sente la responsabilità comunitaria nei confronti dell’ambiente on-line in cui agisce.” Eppure, come scrive don Cosimo Schena, “possiamo e dobbiamo coltivare relazioni umane profonde e rispettose. La redenzione del ladrone ci incoraggia a superare le “croci” della nostra vita digitale, come la disinformazione, l’isolamento sociale e la dipendenza dalla tecnologia. Ci invita a riflettere su come possiamo essere agenti di cambiamento positivo, promuovendo un ambiente digitale più accogliente e inclusivo.”
Il desiderio e la pratica di una presenza nel segno della fede sono capaci di superare la fatica e i limiti delle relazioni digitali: “Quante volte nel corso delle nostre giornate ci sentiamo come Gesù? Davanti ad una schiera di giudici online che con la loro piccola tastiera giudicano e sputano sentenze.”, scrive Nicola Camporiondo. La fede, appunto: “Una piccola lampada che rischiara la notte. Anche qui, in quel mondo chiamato Rete, ogni giorno incrociamo ragazzi e ragazze, uomini e donne che vivono, dietro a uno schermo, la notte del cuore. La solitudine di una maschera per sentirsi accettati, il pensiero di non essere “abbastanza”. Dietro un post, una storia, una foto può nascondersi, ovattato dalla pietra del sepolcro, il grido di aiuto di chi vorrebbe essere libero, o semplicemente sé stesso e non una fotocopia.”, sottolinea don Roberto Fiscer, evocando la nota citazione del beato Carlo Acutis: “Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie.”. Per questo, rimarca Angelica Ciccone, l’obiettivo è “riconoscere ogni solitudine ed essere costruttori non di community ma di comunità vive, dove ciascuno possa sentirsi accolto, voluto bene, valorizzato.”
Questa azione deve tener conto di una delle principali trappole del digitale: la ricerca del consenso: “Pilato ci fa entrare a pieno titolo nel tema del consenso, un tema a tutti noi molto caro. Così dannatamente sfidante nell’essere testimoni digitali”, scrive don Renato Pilotto. A lui fa eco l’invocazione di Rosy Russo: “Aiutaci a non cadere nelle trappole degli algoritmi, a non idolatrare l’intelligenza artificiale, a non lasciarci influenzare da chi ha tanti follower ma scade nella qualità dei contenuti.”.
Consapevole di questo, come ha scrittoFabio Bolzetta sull’Osservatore Romano, la missione digitale “può soffiare nel mare del web per creare onde sulle direttrici della promozione dell’incontro e dell’ascolto. Non deve trattarsi della ricerca (quantitativa) di like né di fare proselitismo ma di essere disponibili all’incontro: esserci quando l’altro è in ricerca o farci prossimi, disponibili, «pienamente» presenti.”.
Un incontro, una presenza solida. Questo il compito che si sono assunti i missionari digitali. Questo occorre, per passare dalla paura alla valorizzazione dell’umano, dalla rassegnazione all’impegno, dal cinismo alla speranza, dalla “dimissione” da sé e dagli altri alla missione, per sé e per gli altri.
Anche questa è Risurrezione. In tutti i sensi.
Buona Santa Pasqua!